La didattica per me è ciò che caratterizza il mio lavoro educativo-formativo sul piano pratico dopo aver riflettuto sulle teorie pedagogico-didattiche.
Innanzitutto non esiste una didattica migliore di un’altra, ogni insegnante, educatrice o formatore ha una sua “idea” e la mette in pratica in base ad essa. Per quanto mi riguarda ciò che ha sempre caratterizzato maggiormente il mio lavoro è stata la continua riflessione su teoria e pratica educativa, sullo sviluppo generale del bambino e la realizzazione di una progettualità mirata e strutturata.
Relativamente all’ultimo punto circa la stesura di un progetto educativo-didattico, in molti, infatti, pensano che progettare sia un’inutile attività “burocratica” e che basti improvvisare oppure, secondo una nota teoria pedagogica del Novecento, che basti osservare il bambino nelle varie situazioni di gioco per poi intervenire didatticamente, tuttavia favorendo un’assoluta spontaneità dell’apprendimento autodiretto da parte del bambino.
Personalmente adotto un modello circolare che può essere così sintetizzato: osservazione, attività proposta, osservazione, eventuale aggiustamento e valutazione del risultato. Ciò in pratica significa che l’attività proposta è stata pensata dopo un’attenta osservazione ed è “cucita” (adattata) sul bambino e sulle abilità di partenza, infatti questo presuppone che la prima volta che osservo ciò che egli fa o che dice, avvenga in una situazione che io voglio osservare in modo consapevole. In tal senso vuol dire che ho già stabilito un obiettivo da perseguire e cerco di indagarlo meglio. In sostanza non osservo un’attività ludica a caso ma scelgo, in base all’obiettivo che intendo sviluppare, quella che potrebbe essere più significativa su un piano piuttosto che un altro, in questo modo potrò stabilire anche i prerequisiti che il gruppo di bambini dovranno possedere per poter svolgere l’attività. Identificare i prerequisiti di un’attività è fondamentale per due motivi molto semplici: il primo per evitare le frustrazioni da parte del bambino di fronte all’insuccesso, questo può accadere se viene richiesto di svolgere un compito troppo elevato rispetto al suo naturale sviluppo, il secondo è legato a quest’ultimo, ovvero vi è la possibilità che l’attività fallisca su tutti i piani ma soprattutto rispetto all’obiettivo stabilito in partenza. Aver costruito un’attività su misura del bambino vuol dire avere piena consapevolezza di ciò che si sta osservando, di ciò che è possibile richiedere e avere cognizione di ciò che andiamo a proporre. Quindi per far funzionare l’attività dopo aver individuato l’obiettivo principale e tutti i sotto obiettivi collegati, bisognerà stabilire il “setting”, quindi dovranno essere previsti strumenti, tempi e luoghi per lo sviluppo di tutta l’attività nonché i contenuti da sviluppare e/o le competenze da promuovere. Con essi è buona prassi stabilire anche la tipologia di valutazione, essa può essere di tipo qualitativo o quantitativo, dipende dall’età dei bambini ma anche dalle caratteristiche stesse dell’obiettivo scelto. Anche se non è obbligatorio stabilire una valutazione complessa con schede di verifica, criteri molto particolareggiati e lunghe griglie di osservazione, si può optare per una traccia anche aperta come può essere il “diario di bordo” dove magari stabilire almeno un’osservazione iniziale e una finale per la restituzione dell’attività. Inoltre la valutazione ci dice se sono necessari aggiustamenti in corso d’opera, questo a seguito di osservazioni più o meno strutturate. Il laboratorio o l’attività proposta quindi non sono determinati una volta per tutte ma sono aperti perché hanno una struttura circolare. Nei progetti più ampi e complessi vi è anche la valutazione in itinere, ma parlando di didattica laboratoriale mi sto riferendo a brevi UDA legati a campi di esperienza o discipline e attività interdisciplinari, l’obiettivo che si intende osservare, sviluppare e valutare rimane l’unica traccia da seguire, personalmente preferisco lavorare su piccoli segmenti oppure su un’attività chiaramente identificabile e valutabile.
Dopo questa digressione sulla progettualità educativa che adotto sempre nel mio lavoro educativo-didattico, posso parlare del motivo per cui mi sono riferita in questa sezione del mio blog alla didattica laboratoriale e non alla didattica in generale. Perché parlo di laboratori? Per quanto mi riguarda trovo che essi siano una vera occasione di crescita per il bambino che, sperimentando in maniera guidata o semi-guidata, mette in atto quelle conoscenze, abilità e competenze che altrimenti sarebbero difficili da osservare. Inoltre in queste occasioni si può lavorare in gruppo e in questo modo è possibile osservare anche le competenze sociali, di leadership e di educazione tra pari. Giacché parlo di didattica laboratoriale ho già esplicitato una delle tante strategie educativo-didattiche che utilizzo maggiormente.
Ritornando sulla modalità di didattica scelta dal docente nell’esercizio delle sue funzioni di insegnamento, sul fatto che ho citato quella che uso io nel mio lavoro e dopo aver affermato che non esiste una didattica giusta e una sbagliata, bisogna che approfondisca le istanze che mi hanno portato a tale conclusione.
La storia della Pedagogia con le sue concezioni e i suoi studiosi, ci ha insegnato nel passaggio da un’epoca ad un’altra, che le modalità in cui si insegna cambiano in base a una diversa concezione dell’infanzia e alle conoscenze dei modi di apprendere del bambino. La modalità didattica più diffusa è stata sicuramente quella che oggi è definita tradizionale o trasmissiva, in pratica il discente imparava in modalità passiva ciò che il maestro o tutore gli insegnava. Per un occhio più critico e innovativo dei sistemi di insegnamento-apprendimento sicuramente fu Rousseau a darci un primo esempio di didattica meno trasmissiva e più attenta alle richieste provenienti dal bambino. La curiosità dei bambini è alla base della motivazione ad apprendere, tuttavia anch’essa va stimolata e incanalata in un percorso pensato al raggiungimento di obiettivi ritenuti importanti per la crescita e lo sviluppo del pensiero logico e linguistico. Tra i secoli XIII e XX molti i pedagogisti che hanno creato teorie educative, strumenti e scuole per formare i bambini, sviluppando anche pratiche didattiche diverse da quella trasmissiva. Se questo sviluppo nella didattica è andato di pari passo con le nuove concezioni psicologiche dello sviluppo linguistico, motorio, logico e sociale del bambino, ciò ha delineato anche la crescita di nuove tipologie di istituzioni educative anche scolastiche. Non mi sto a soffermare su tutti questi passaggi perché significherebbe scrivere almeno tre manuali: uno di storia della pedagogia, uno di psicologia dello sviluppo e uno sulla pedagogia sperimentale. Quello che però vi posso dire è che il modello didattico che uso nella pratica educativa sia a scuola che in altri contesti, è quello di stampo costruttivista, dove ogni attività conoscitiva è il risultato di una ristrutturazione attiva e di una negoziazione interpersonale, e di learning by doing. Sul piano della psicologia dello sviluppo del pensiero rimango ancorata al modello evoluzionistico di Piaget, infatti le fasce di età con cui ho lavorato sono andate per lo più dal primo anno di vita ai 12 anni, in questo senso le attività proposte tengono conto dello sviluppo dell’intelligenza che passa attraverso due meccanismi: l’assimilazione e l’accomodamento, mediante degli stadi di cui tralascio i primi due: intelligenza senso-motoria o pratica (4 mesi-2 anni); intelligenza intuitiva (2-6 anni), in questa fase viene sviluppato il pensiero simbolico e preconcettuale; stadio delle operazioni concrete e inizio delle costruzioni logiche e dei sentimenti morali-sociali (6-11 anni), qui viene sviluppato il pensiero delle operazioni logico-matematiche; stadio delle operazioni formali, della formazione della personalità (dai 12 anni in poi), in quest’ultima fase invece si sviluppa il pensiero astratto ovvero delle operazioni che possono essere possibili. Piaget si occupa anche dello sviluppo del linguaggio e personalmente trovo che queste suddivisioni non siano ancora superate, è vero che possono esserci anticipi o ritardi nell’acquisizione di alcuni traguardi di sviluppo, ma questi come già ci indicava Piaget, rimangono situazioni di normalità nel procedere in una crescita che è fatta di salti e regressioni. Ecco perché la didattica laboratoriale è efficace in tutta questa parte dell’infanzia, nella prima 0-6, il bambino apprende dall’esempio dell’adulto e i laboratori o atelier, come in alcuni casi vengono chiamati, a struttura fissa o meno, aiutano il bambino mediante l’imitazione dell’adulto, il gioco simbolico, psicomotorio, manipolativo, espressivo, logico-matematico e linguistico, a imparare sempre cose nuove e stimolanti, ma vengono anche ad essere preziosi indicatori di difficoltà o di punti di forza; nell’età successiva e con lo sviluppo del pensiero operatorio concreto, 6-11 anni, i bambini intervengono sulla realtà in modo attivo, curioso e sperimentando nuove forme di conoscenza date anche dall’acquisizione della lettura, della scrittura e dei numeri, in tal senso per operare con tutte queste nuove forme di conoscenza, la didattica laboratoriale aiuta il bambino a perfezionare il suo linguaggio, la sua manualità, il suo ragionare sulle cose, per poi arrivare a poter sviluppare al meglio quel pensiero operatorio formale che trasformerà la realtà in continua astrazione.
In qualsiasi attività didattica, a maggior ragione in quella laboratoriale, quando un educatore pensa all’obiettivo o all’attività da proporre deve stare molto attento a ciò che va progettando. Ai bambini di queste fasce d’età non possono essere richiesti compiti che vanno aldilà delle loro capacità, anche se nel gruppo è presente un bambino che può sostenerli, è francamente discutibile chiedere di imparare a memoria senza capire concetti astratti che invece potrebbero essere trattati con laboratori learning by doing o di peer education. In queste occasioni di apprendimento il bambino co-costruisce la realtà e impara in un ambiente stimolante, con materiali di riciclo e in modo davvero unico.




